Parere sulle circolari ministeriali in materia di riconoscimento giuridico dei sindacati per gli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia ad ordinamento militare.
Questo “Comitato Scientifico” esprime alcune valutazioni sulla regolamentazione amministrativa, anche e soprattutto in vista del procedimento di normazione della materia, che attiene al riconoscimento dei sindacati dei corpi militari e alle modalità di funzionamento dei medesimi.
Preliminarmente si manifestano forti dubbi sul punto, in quanto si ritiene che tale meccanismo, seppure autorizzato in via “transitoria” dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 2018, non sia compatibile né con il diritto internazionale (art. 2 del Convenzione OIL n. 87 del 1949 che riconosce il diritto di costituire organizzazioni tra lavoratori o datori, senza prevedere alcuna distinzione o autorizzazione), né con la Carta costituzionale (art. 39) ; entra, infatti, frontalmente in contrasto con tali fonti legislative una regolamentazione di taglio amministrativo, volta a dettare regole per la costituzione e il funzionamento dei sindacati.
I provvedimenti amministrativi sinora emanati, infatti, non risultano conformi al mutato quadro giuridico internazionale e agli artt. 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché all’art. 5 della Carta sociale europea. In particolare, si pongono in violazione delle fonti internazionali che, pur contemplando la possibilità d’introdurre restrizioni all’esercizio dei diritti sindacali dei militari, riconoscono il diritto di costituire associazioni professionali e di svolgere attività finalizzate alla tutela dell’interesse collettivo (secondo l’interpretazione della Corte di Strasburgo in relazione agli ambiti applicativi dell’art. 11, CEDU).
Al di là della dubbia legittimità del suddetto vincolo amministrativo e procedurale – che costituisce un unicum nell’ordinamento nazionale – tale premessa ci conduce a ritenere indispensabile una soluzione legislativa, che, peraltro, costituisce la via maestra tracciata dagli stessi giudici della Consulta (così p. 18 della sentenza n. 120/2018). Tale indicazione, a nostro avviso, non può essere ulteriormente disattesa, in quanto una regolamentazione “per circolari”, oltre a porre fondati dubbi di costituzionalità, costituisce, altresì, un precedente oggettivamente “pericoloso” per i rapporti sindacali, in un ordinamento giuridico innervato sul principio della libertà di associazione sindacale.
In ogni caso il “confronto”, sul piano del diritto vigente, con la regolamentazione amministrativa può essere fruttuosamente avviato solo con messa a fuoco delle indicazioni che emergono dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 120/2018.
Il giudice delle leggi, infatti, ha creato, con il richiamato meccanismo “transitorio”, un sistema che vede la “compresenza” di sindacati autorizzati dal Ministero della Difesa e dell’attuale forma di rappresentanza collettiva militare (i Co.Ce.R.), detentrice, nel presente quadro normativo, dei poteri di concertazione, individuati dal d.lgs. n. 195 del 1995, in attesa che quest’ultima – come auspica la stessa Corte – venga superata dalla futura legge sindacale.
Ora, come deve essere veicolata, medio tempore, tale compresenza? Sotto tale aspetto, ferme rimanendo, allo stato del diritto vigente, le competenze dei Co.Ce.R., occorre comunque interrogarsi sulle funzioni che spettano ai sindacati in possesso dell’autorizzazione ministeriale, perché una mancata risposta su tale versante potrebbe rendere la stessa autorizzazione una “scatola vuota” e il procedimento amministrativo per richiederla, peraltro complesso, un inutile dispendio di energie.
Viceversa – e sul punto si interroga anche il Consiglio di Stato con il parere reso in data 14 novembre 2018 – le associazioni sindacali devono poter svolgere quelle attività “minime” tipiche di ogni sindacato, anche se i giudici amministrativi invitano a regolare, anche nelle more dell’intervento legislativo, “un metodo di interlocuzione … che possa dare sostanza alle attività delle associazioni, altrimenti previste e regolate solo per la loro costituzione e per i limiti e gli impedimenti alla loro azione”. Invece, secondo il Consiglio di Stato, vanno disciplinate in positivo le modalità di azione dialettica che salvaguardino gli scopi e la ragion d’essere delle associazioni sindacali, almeno nella forma minima delle consultazioni sulle questioni di interesse.
Innanzitutto, appare del tutto inidoneo qualificare icasticamente il sindacato quale “sodalizio” (si vedano, al riguardo, anche le circolari ministeriali), quasi ad equiparare quest’ultimo, strumento di emancipazione e di tutela collettiva dei lavoratori, ad un circolo ricreativo ovvero, peggio, a una sparuta comunità, mal tollerata o mal digerita da un sistema che trascura le statuizioni della Corte costituzionale n. 120/2018.
Al di là di ogni rilievo di taglio linguistico – anche se il linguaggio è lo specchio, anche inconsapevole, dell’atteggiamento mentale al riguardo – l’argomentazione, fatta propria dal Consiglio di Stato, se appare censurabile sul piano dell’individuazione – per via amministrativa – delle modalità di svolgimento dell’attività sindacale, contiene tuttavia un” nocciolo duro” di verità, nella parte in cui, ragionevolmente, pone il problema dell’attività da garantire comunque alle costituite associazioni sindacali. Infatti il sindacato autorizzato deve essere messo in grado di poter svolgere la propria attività sindacale nei luoghi di lavoro, quale tutela e assistenza dei singoli militari aderenti.
Peraltro le stesse circolari ministeriali indirettamente riconoscono che una “competenza” deve essere pur attribuita al sindacato, come si evince dall’indicazione di escludere, dalle finalità statutarie, alcune materie riferibili all’ordinamento militare.
La risposta però può essere rinvenuta solo nel significativo silenzio della Corte costituzionale, la quale, se da un lato ha individuato, per il periodo transitorio e in attesa del legislatore, una serie di “limiti” – di taglio evidentemente tassativo – che rilevano sul piano della costituzione del sindacato, ai quali si può aggiungere il richiamo alle materie – declinate dall’art. 1478, settimo comma, della disciplina dell’ordinamento militare – escluse dalla competenza dei Co.Ce.R. e anche del sindacato, dall’altro non ha dettato indicazioni sulle modalità e l’ambito di svolgimento dell’attività del sindacato, nell’ovvio presupposto che questo “spazio” non può che essere governato da quest’ultimo, alla luce del precetto costituzionale.
In altri termini, fermo rimanendo che per ora il sindacato non è un interlocutore negoziale (laddove il potere negoziale dovrà essere attribuito dalla legge con il superamento del meccanismo della concertazione affidata ai Co.Ce.R.), né destinatario degli specifici diritti sindacali (sui quali, del pari, dovrà intervenire la legge), bisogna fare i conti, comunque, con l’art. 39, primo comma, della Costituzione.
Quest’ultimo riconosce al sindacato il potere di organizzarsi autonomamente (sul piano centrale e territoriale), con il conseguente diritto di svolgere un’attività di tutela dei propri associati, che può estrinsecarsi anche nel porre all’attenzione del datore di lavoro le diverse problematiche afferenti alle condizioni di lavoro dei primi, nell’ambito di tutela che il sindacato ha liberamente scelto di eleggere.
Pertanto risulta del tutto fuorviante, e in palese violazione del precetto costituzionale, l’indicazione, ripetutamente richiamata nelle circolari ministeriali, che le associazioni sindacali riconosciute potranno essere “ascoltate”, per le questioni di interesse, a livello di Comando Generale (v. circolare n. 001785 del 31 gennaio 2019 del Gabinetto del Ministro dell’economa e delle finanze) e che “l’unica forma di interlocuzione al momento riconosciuta è a livello di Stato.
Maggiore di Forza Armata /Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri/Segretariato Generale della Difesa (v. circolare del Gabinetto del Ministro della Difesa del 30 aprile 2019 la quale sposta la sede del – non precisato – “confronto” su tematiche con “valenza di carattere generale o di interesse generale, se riferite ad un ambito locale” ).
Tale restringimento dell’ambito dell’”interlocuzione” del sindacato con l’Amministrazione militare presta il fianco anche a tre rilievi critici specifici.
In primo luogo le determinazioni amministrative eccedono i poteri conferiti all’amministrazione pubblica, in quanto la sentenza della Corte costituzionale detta a quest’ultima, ai sensi dell’art. 1475, primo comma, del d.lgs. m. 66 del 2000, regole esclusivamente per l’autorizzazione alla costituzione delle associazioni sindacali, ma non per lo svolgimento della loro attività.
Ne consegue che, sul piano delle fonti, le indicazioni amministrative, orientate in tal senso, non possono certo qualificarsi come “disposizioni integrative”, non trovando una fonte di legittimazione né nella legge né tantomeno nella sentenza della Corte e, pertanto, devono ritenersi illegittime.
In secondo luogo si finge di non vedere che l’interlocuzione condotta a livello generale potrà diventare efficace solo se propedeutica al riconoscimento di un tavolo di contrattazione, in ambito nazionale, che ancora non esiste.
In terzo luogo si dimentica che se il processo di identificazione dell’interesse collettivo, del quale è “portatore” il sindacato, nasce dalla sintesi e combinazione degli interessi individuali (dei singoli); spesso dalle dinamiche aggregative del basso sorgono istanze e problematiche, che poi potranno essere utilmente trasferite, se del caso, in ambito generale.
Fermo rimanendo che si tratta di un’ “interlocuzione”, che può svolgersi con l’Amministrazione militare nelle singole unità operative e non si traduce in un processo negoziale, interdire la possibilità, al sindacato autorizzato, di svolgere questa “minima” attività di assistenza ai singoli e, a tale stregua, di porre all’attenzione della Dirigenza militare i profili delle condizioni di lavoro, nei luoghi dove potrebbero manifestarsi le maggiori criticità, significa incidere sull’attività fisiologica, tipica di ogni organizzazione sindacale. Significa, in definitiva, svuotare del tutto la portata della pronuncia della Corte costituzionale (e delle fonti sovranazionali da questa richiamate) che, superando «la visione istituzionalistica dell’ordinamento militare», ha inteso riconoscere adeguata garanzia ai valori e agli interessi sindacali del personale militare.
Se le richiamate (ed illegittime) linee di indirizzo dovessero essere confermate, questo Comitato ritiene che le associazioni sindacali autorizzate debbano aprire una seria riflessione sui particolari effetti che ingenera l’autorizzazione ministeriale e sul gravissimo danno che le prime vanno ad arrecare anche all’immagine del sindacato, ingenerando nei singoli l’illusione di rinvenire in quest’ultimo un canale di tutela che, viceversa, viene dalle stesse pesantemente mortificato.
A questo punto le associazioni sindacali possono legittimamente domandarsi se non sia il caso di restituire, all’Autorità concedente, l’autorizzazione, confidando in un intervento del legislatore, che, si spera, più consapevole e orientato all’effettiva fruizione dei diritti sindacali anche nel comparto della sicurezza.
Roma 22 Maggio 2019
Prof. Pietro Lambertucci – Giuslavorista
Prof.ssa Patrizia Tullini – Giuslavorista
Prof.ssa Avv. Lidia Sgotto Ciabattini – Giuslavorista
Prof. Marco Esposito – Giuslavorista
Prof.ssa Avv. Giuseppina Pensabene Lionti – Giuslavorista
Prof.ssa Lina Del Vecchio – Giuslavorista
Dott. Luca Di Majo – Costituzionalista